Presentazione
Uno spazio urbano tra Marche e Umbria
E’ un progetto su come rilanciare l’intuizione del Distretto umbro marchigiano a partire dalle sfide che le crisi climatica e demografica pongono all’Appennino e a tutte le montagne italiane. Sfide che possono essere affrontate e vinte solo se le comunità (i cittadini, le imprese, l’associazionismo, le diverse realtà e organizzazioni del territorio) e le istituzioni locali saranno protagoniste della Transizione verde e digitale grazie alla quale costruire nuove condizioni di attrattività sociale, economica e culturale dei territori montani. Come indicato dal Manifesto di Camaldoli per una nuova centralità della montagna oggi ci sono tutte le condizioni perché questa ritrovi quella importanza e quel ruolo che per secoli ha avuto e svolto.
Per questo tornare a leggere e a reinterpretare la natura urbana / montana / policentrica del territorio del Distretto umbro marchigiano è fondamentale per maturare la consapevolezza che l’isolamento non è un dato di natura ma l’esito di processi economici e sociali che come sono avvenuti possono mutare nel tempo.
Territori “comunali” nei quali è nata quella economia civile che ha segnato il passaggio dal feudalesimo alla modernità, la prima economia di mercato nata – come ha detto Papa Francesco – dall’amicizia tra i mercanti e i frati francescani.
Economia civile, beni comuni, sostenibilità…temi fondanti di quella nuova civitas appenninica che vogliamo contribuire a costruire.
Una lettura e una reinterpretazione fondamentali per lasciarci alle spalle la cultura dell’isolamento – cioè della percezione e consapevolezza della perdita di ruolo, del progressivo indebolimento demografico, economico, istituzionale e politico delle montagne che ha raggiunto l’acme nel secondo novecento – non perché le condizioni oggettive che ci fanno parlare dell’isolamento siano venute meno ma perché, prima che oggettivamente, siamo chiamati ad uscirne soggettivamente, sulla base di una volontà soggettiva, non individuale ma collettiva, di una nuova visione, capace di cogliere l’opportunità storica del ritorno della centralità della montagna, che si fa progetto culturale e politico.
Superare la cultura dell’isolamento e delle tre rendite che si sono venute consolidando e che sono il principale impedimento al dispiegarsi di questa nuova visione.
Quella politica, che non vuole abbandonare le vecchie pratiche del risarcimento dovuto a causa delle condizioni di marginalità, preferendo così mantenere un assetto superato, frammentato e disperso di servizi territoriali piuttosto che investire su un loro nuovo assetto – anche attraverso strategie condivise di concentrazione spaziale – funzionale ad innalzarne la qualità per favorire processi di neo popolamento.
Quella ideologica, che vede la montagna come spazio antagonista, alternativo e separato dalla città dalla quale deve difendersi e non come protagonista di una nuova visione capace di sollecitare e contribuire alle necessarie trasformazioni dell’assetto territoriale generale del Paese.
Quella narrativa, di una montagna elusiva, intima, nascosta e remota, una sorta di estetica dell’abbandono e dello spopolamento che rischia di offuscare proprio quella centralità che la montagna ha avuto per lungo tempo nelle vicende economiche, sociali, culturali e politiche italiane e non solo. Una narrazione che rischia, come già detto, di rafforzare la percezione che l’isolamento sia un dato di natura e non l’esito di vicende storiche.
C’è una contemporaneità che apre prospettive inedite e promettenti per i territori montani nel segno della sostenibilità, dell’economia circolare e nelle nuove filiere della bioeconomia, del digitale e della domanda sociale di ambiente, natura e cultura.
Secondo un recente report di Legambiente dall’inizio 2023 in Italia gli eventi climatici estremi sono aumentati del 135% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il rincorrersi e il ripetersi di periodi di siccità e di precipitazioni intense è ormai la nuova normalità con la quale dobbiamo imparare a convivere. Le conseguenze sono incendi boschivi, alluvioni ed esondazioni che mandano sott’acqua città e campagne.
Fenomeni che aumentano esponenzialmente il rischio idrogeologico, con frane e fenomeni di dissesto particolarmente intensi nelle aree montane e alto collinari dove le conseguenze e gli impatti della crisi climatica si fanno avvertire prima e più intensamente.
Si comprende meglio a quali rischi è esposto il nostro Paese se consideriamo che le montagne sono riconosciute internazionalmente come uno dei principali hotspot climatici e che secondo la classificazione Eurostat coprono ben il 66% della superficie nazionale, il doppio della media Ue (32,6%), a grande distanza da Francia (20,6%) e Germania (11,8%).
Rischi aggravati dal fatto che non solo le montagne ma anche l’intero bacino del Mediterraneo è considerato un hotspot climatico a causa dell’innalzamento delle temperature del mare che alimenta l’energia e la portata dei fenomeni atmosferici. E l’Italia prevalentemente montuosa è al centro del Mediterraneo che, come ci ricorda Fernand Braudel il suo più importante storico contemporaneo, è un mare tra terre prevalentemente montane.
Considerando inoltre che larghissima parte dei sistemi insediativi più densamente abitati e più intensamente urbanizzati sono limitrofi, prossimi, relazionati e spesso interstiziali alle catene alpina, appenninica e insulari, si comprende meglio i rischi ai quali il nostro Paese è esposto.
Per questo è urgente che dalla sperabilmente raggiunta consapevolezza della “centralità geografica” della montagna si passi al riconoscimento della sua “centralità politica”; di assumerla, appunto, come frontiera avanzata delle sfide della nostra contemporaneità, dal contrasto alla crisi climatica alla necessità, evidenziata dalla pandemia, di costruire migliori equilibri territoriali e sociali.
È oggi possibile dar vita ad un grande programma economico centrato sull’economia circolare, e sulle nascenti filiere della bioeconomia, basato sull’incentivazione e la diffusione di produzioni – per realizzare le quali vengono forniti servizi eco sistemici (aria, acqua, protezione dei suoli, habitat floristici e faunistici, spazi ricreativi, sportivi e culturali) – allo stesso tempo capaci di sviluppare azioni di adattamento/mitigazione nei confronti della crisi climatica.
Per questo il Distretto umbro marchigiano va rilanciato come una grande Green Communities capace di territorializzare le politiche della Transizione ecologica e digitale; dalla produzione di energia da fonti rinnovabili allo sviluppo di un turismo sostenibile, dalla riqualificazione antisismica ed energetica del patrimonio abitativo e pubblico e delle infrastrutture e delle reti all’integrazione dei servizi di mobilità, dallo sviluppo sostenibile delle attività produttive alla diffusione di un modello di azienda agricola multifunzionale e alla gestione del patrimonio agro-forestale ed idrico.
Un approccio valido anche per il territorio del Distretto umbro marchigiano che per il 92% vede un’utilizzazione del suolo a bosco e ad aree agricole. Oggi ci sono tutte le condizioni per tornare a guardare con occhi contemporanei alla montagna come spazio di produzione e non solo di fruizione. Consapevoli di quanto sia importante il turismo per questi territori capaci di intercettare quella domanda sociale di ambiente, natura e cultura che già in crescita prima della pandemia è successivamente esplosa.
Spazio di produzione che a ben vedere questo territorio ha sempre mantenuto grazie alla sua storica vocazione manifatturiera (Fabriano, Cagli, Sassoferrato, Matelica…) che deve essere mantenuta e rilanciata nel segno dell’economia circolare e della green economy, basti pensare alle opportunità che il digitale rappresenta per le tante imprese manifatturiere presenti nel territori, molte leader mondiali nei loro settori anche grazie alla riconosciuta e apprezzata attenzione alla qualità e alla sostenibilità.
La sfida è essere capaci di intercettare questo quadro di nuove opportunità economiche come dimensione fondamentale e necessaria per rendere questi territori attrattivi per nuovi abitanti che potranno sceglierli proprio perché proiettivi piuttosto che retrospettivi, questo è il senso della montagna come frontiera avanzata delle sfide della nostra contemporaneità.
Ma affinché la montagna torni ad essere abitata da comunità vitali ed operose non bastano le solo convenienze e opportunità economiche, il rischio è quello di una montagna frequentata per motivi di svago o di lavoro ma non abitata, come è accaduto con lo spostamento delle famiglie dall’area del cratere alle città della costa adriatica o della valle umbra che non sono ritornate nonostante i genitori hanno ripreso le loro attività nei luoghi di provenienza.
C’è il rischio del diffondersi di un pendolarismo alla rovescia rispetto a quello che abbiamo conosciuto nei decenni passati, di territori ridotti a mero supporto fisico di attività economiche, privi di identità perché orfani di comunità. Per questo è urgente e necessario costruire una nuova generazione di servizi territoriali che superi l’attuale frammentazione e dispersione a partire da quella dell’offerta formativa della scuola primaria se si vogliono attrarre nuove e giovani famiglie. Riattualizzare e reinterpretare la natura urbano/montano/policentrica di molti territori montani, e in particolare appenninici come quello del Distretto umbro marchigiano, è funzionale per immaginare una distribuzione/concentrazione di alcuni servizi territoriali strategici – a partire da scuola e sanità- facilmente raggiungibili in tempi urbani di max 15/30’.
È una sfida che riguarda soprattutto le istituzioni locali, i comuni ma anche le comunità, chiamate a dare vita a nuove coalizioni territoriali e alleanze istituzionali per costruire nuovi ed inediti scenari territoriali necessari a intercettare i bisogni e le domande dei nuovi abitanti senza l’arrivo dei quali le comunità presenti sono condannate ad evaporare e i territori a ritirarsi e restringersi. E il rilancio dell’Italia centrale – che è la nuova questione territoriale nazionale con l’aumento del divario che la separa da Emilia Romagna, Veneto e Lombardia – non può avvenire senza una rigenerazione sociale ed economica delle sue montagne.
Per questo il contributo del Distretto umbro marchigiano è importante anche considerando il ruolo che Gubbio e Fabriano possono svolgere, due città intermedie che invece che assorbire e asciugare il territorio “retrostante” hanno scelto di assumere l’onere e la responsabilità del suo rilancio.
“Se ti dico che la città a cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.” dice Marco Polo al Gran Kan nel loro ultimo colloquio ne “Le Città Invisibili” di Italo Calvino. Perché l’Appennino torni ad essere una terra di futuro è necessario tornare a cercare quella “città”.
Fabio Renzi Segretario generale Symbola – Fondazione per le Qualità Italiane
Il Distretto Umbro Marchigiano
Il Distretto dell’Appennino umbro marchigiano affonda le sue origini nel 2013 come progetto per la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale dei territori di Gubbio, Fabriano, Parco del Monte Cucco, Parco della Gola della Rossa e aree limitrofe, che portò alla firma di un Protocollo d’Intesa firmato a Fonte Avellana il 30 novembre 2013.
Promotore del Protocollo e del Distretto è stata l’Associazione per lo sviluppo dell’Appennino Umbro – Marchigiano un’Associazione di Promozione Sociale impegnata nella valorizzazione culturale ed economica del territorio.
L’Associazione si propone di valorizzare, promuovere e sviluppare, in ambito nazionale ed internazionale, il territorio dell’Appennino Umbro – Marchigiano, con particolare attenzione alla cultura, alle attività artigianali, ai settori sport e natura, alle attività turistiche e di sviluppo territoriale.
Significative le iniziative e i progetti intrapresi, tra i quali “aMano” per la valorizzazione dell’artigianato artistico e di qualità, in ottica di accoglienza e di offerta turistica di esperienze autentiche, nei territori di riferimento.
Nel 2023, grazie alla Fondazione Symbola, con il sostegno della Fondazione Aristide Merloni, il Comune di Fabriano e il Comune di Gubbio e l’Associazione culturale per lo Sviluppo dell’Appennino Umbro Marchigiano, hanno organizzato 2 convegni sul tema della Città Appenninica per riflettere e confrontarsi sullo stato attuale dei territori appenninici tra le due regioni e prefigurare possibili futuri percorsi di sviluppo.